Farmacogenetica

La variabilità nella risposta al trattamento farmacologico tra paziente e paziente costituisce da sempre uno dei problemi più rilevanti nella pratica clinica. Le risposte individuali ai farmaci, infatti, variano molto: si possono, infatti, osservare in alcuni pazienti rispetto ad altri, effetti terapeutici ridotti o addirittura assenti, reazioni avverse o effetti collaterali, nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco alla stessa posologia. Questa variabilità inter-individuale veniva, nel passato, attribuita principalmente all’influenza di fattori non genetici come ad esempio l’età, il sesso, lo stato nutrizionale, quello di funzionalità renale ed epatica, le abitudini di vita con particolare riferimento alla dieta e all’abuso di alcool e fumo, la concomitante assunzione di altri farmaci o la presenza di comorbidità. Attualmente si ritiene che, oltre ai fattori sopra menzionati, giochino un ruolo importante nella risposta individuale ai farmaci anche quelli ereditari.
Risultati di studi su gemelli monozigotici e dizigotici suggeriscono che, per taluni farmaci soggetti a intenso metabolismo, i fattori genetici esercitino un ruolo importante nel determinare la variabilità farmacocinetica e farmacodinamica. Le conseguenze cliniche della variabilità interindividuale nella risposta al trattamento farmacologico possono essere quindi rappresentate dal fallimento terapeutico (mancata o solo parziale efficacia della terapia), da effetti collaterali di un determinato principio attivo o da reazioni avverse anche gravi e talvolta fatali. La farmacogenetica nasce intorno agli anni cinquanta quando i ricercatori cominciarono a pensare che anche la risposta ai farmaci potesse essere regolata, almeno in parte, dai geni e che la variabilità di reazione a un certo principio attivo da parte di individui diversi non fosse altro che il riflesso delle differenze genetiche. La farmacogenetica studia le variazioni inter-individuali nella sequenza del DNA in relazione alla risposta ai farmaci. L'applicazione pratica delle conoscenze, provenienti dalla ricerca in farmacogenetica, consiste nella possibilità di predire la risposta di un paziente ad un certo farmaco sulla base di un test genetico di routine, per arrivare ad un’individualizzazione della terapia, "il farmaco giusto al paziente giusto". I test del DNA basati su queste variazioni genetiche, possono predire come un paziente risponderà a quel particolare farmaco. I clinici potranno utilizzare questa informazione per decidere la terapia ottimale e per personalizzare il dosaggio; i benefici consisteranno in una ridotta incidenza di reazioni avverse, in migliori esiti clinici ed in costi ridotti. Questi test rappresentano il primo passo verso terapie paziente-specifiche.
Le variazioni nella sequenza del DNA che sono presenti almeno nell’1% della popolazione sono definite polimorfismi. Tali polimorfismi genici danno luogo a enzimi con diversi livelli di attività metabolica o a recettori con diversa affinità per il farmaco, modificando la risposta farmacologica di un individuo. Le variazioni genetiche riguardano più spesso un singolo nucleotide e sono pertanto definite polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), ma possono interessare anche più nucleotidi o anche ampi tratti di DNA: si tratta ad es. di sostituzioni, inserzioni, delezioni, amplificazioni e traslocazioni. Esse si riferiscono a tratti monogenici, cioè a polimorfismi di un singolo gene codificante una proteina coinvolta nel metabolismo di un farmaco o nel suo effetto che causano risposte individuali variabili ai farmaci.
Il problema della variabilità individuale alla risposta ai farmaci è particolarmente importante nella terapia dei tumori perché vengono in questo caso impiegati farmaci caratterizzati da un indice terapeutico particolarmente ristretto, con variazione minima tra dose efficace e dose tossica. Alterazioni anche limitate nel metabolismo di un chemioterapico antitumorale per variazioni genetiche possono causare cambiamenti notevoli nell’effetto farmacologico in termini sia di tossicità che di efficacia. Ciò si verifica purtroppo frequentemente in quanto la posologia degli agenti antineoplastici viene stabilita dal medico oncologo in maniera standardizzata sulla base della superficie corporea del paziente (tenendo ovviamente conto anche degli altri fattori non genetici di variabilità).
Come per altre patologie, le variazioni nella sequenza del DNA possono riguardare la struttura di geni che codificano per enzimi del metabolismo e del trasporto dei farmaci o per proteine implicate nell’azione dei farmaci, influenzandone il destino nell’organismo, la tossicità ed anche, come più recentemente evidenziato, l’efficacia. A questo proposito è importante sottolineare che non soltanto i polimorfismi del genoma dell’ospite, ma anche quelli del genoma tumorale possono influenzare la risposta ai farmaci antineoplastici. I polimorfismi del genoma dell’ospite e del tumore regolano entrambi il trasporto, la ritenzione e l’efflusso dei farmaci antitumorali, determinandone il grado di penetrazione nel tessuto tumorale; il genoma del tumore possiede la maggioranza dei polimorfismi che influenzano l’aggressività tumorale e la sua farmaco- sensibilità o resistenza; i polimorfismi del genoma dell’ospite rappresentano i principali determinanti del rischio di tossicità per il paziente, alla quale non contribuiscono invece in modo sostanziale i polimorfismi del genoma del tumore.