Estrazione degli acidi nucleici

Gli acidi nucleici sono macromolecole polimeriche costituite da unità ripetute dette nucleotidi. Quest’ultimi sono formati da uno zucchero pentoso, una base azotata (purinica o pirimidinica) e gruppi fosfati. Negli or- ganismi viventi sono riscontrabili due tipi di acidi nucleici: DNA e RNA.
L’ipotesi di Watson e Crick sulla struttura tridimensionale del DNA fu che il DNA era composto da 2 puri- ne: adenina (A) e guanina (G) e due pirimidine: citosina (C) e timina (T), legate da zuccheri fosforilati. Poi- ché il DNA ha un ruolo centrale come materiale genetico, il chiarimento sulla sua struttura tridimensionale era ritenuto essenziale per la comprensione delle sue funzioni. Le deduzioni di Watson e Crick furono pro- fondamente influenzate dalla descrizione fatta da Linus Pauling dei legami idrogeno e dell’alfa-elica. Le caratteristiche fondamentali del modello sono che il DNA è una doppia elica con lo scheletro di zuccheri e fosfati disposto all’esterno della molecola mentre le basi sono rivolte verso l’interno, orientate in modo tale che tra le purine e le pirimidine delle catene opposte si formano legami ad idrogeno. L’appaiamento delle basi è altamente specifico: A si lega sempre a T e G con C. Per questo specifico appaiamento delle basi, le due catene di una molecola di DNA sono complementari: ciascuna catena contiene tutte le informazioni ne- cessarie per determinare la sequenza delle basi nell’altra catena. La struttura tridimensionale dell’RNA è rappresentata da una catena semplice costituita da due purine: A – G e due pirimidine: C e Uracile (U). L’R- NA decodifica le informazioni presenti nel DNA, utilizzate per sintetizzare delle specifiche proteine. La dif- ferenza tra DNA e RNA è che mentre il DNA esegue essenzialmente la funzione di contenere l'informazio- ne, l’RNA presente nella cellula svolge diverse funzioni, infatti è presente in diverse forme: mRNA, tRNA, rRNA.
L’idea di ricercare il DNA circolante nel plasma o nel siero venne qualche anno fa ad un fisiologo svizzero che, avendolo riscontrato nella linfa delle piante, volle scoprire se fosse presente anche nel plasma di pazien- ti con tumore in stadio avanzato. Con saggi radioimmunologici ne dimostrò la presenza. In tempi successivi, altri laboratori americani hanno pubblicato studi che indicavano l’origine tumorale del DNA circolante nel plasma dimostrando la presenza di alterazioni genetiche ed epigenetiche tipiche del DNA tumorale nel DNA plasmatico in pazienti con vari tipi di neoplasia quali i tumori della testa e del collo, polmone, colon, fegato, pancreas, mammella e prostata.
Il primo a introdurre il termine mutazione nel campo della genetica fu Hugo de Vries nel 1901, osservando come nella progenie di un ceppo della pianta Oenothera Lamarckiana si potevano ottenere alcuni individui inaspettatamente giganti. Il concetto di mutazione così come è inteso oggi, invece, fu usato solo a partire dal 1927. In generale si può dire che le mutazioni genetiche hanno avuto un ruolo essenziale ancora prima, fin dagli albori della genetica; già nei celebri lavori del padre della genetica, Gregor Mendel, infatti, i fenoti- pi come il colore bianco dei petali o giallo dei semi maturi, usati per formulare le sue leggi, non erano che dovute a mutazioni inattivanti dei corrispettivi geni. Per mutazione genetica si intende ogni modifica stabile ed ereditabile nella sequenza nucleotidica di un genoma o più generalmente di materiale genetico (DNA e RNA) dovuta ad agenti esterni o interazioni con l'ambiente, ma non alla ricombinazione genetica. Una mutazione modifica quindi il genotipo di un individuo e può eventualmente modificarne il fenotipo.